La “guerra co’ santi” della Reggenza nel ricordo di un diarista fiorentino
La “guerra co’ santi” fu il titolo di una pasquinata affissa a Firenze nel 1749, nei giorni della “riduzione” delle feste emanata dalla Reggenza lorenese. La legge era la naturale conseguenza delle istanze di cambiamento sociale diffuse in Italia nel secolo dei lumi della ragione e del progresso e in Toscana erano state portate avanti dallo zelo riformatore degli eruditi scrittori Ludovico Antonio Muratori (1672-1750) e di Giovanni Lami (1697-1770).
Scrive Luca Sandoni in Tra ragion di stato e ragion liturgica... (2022) che anche “una parte dell’episcopato si era mostrata sensibile alla questione, tanto che i vescovi di Chiusi, Grosseto, Massa Marittima, Montalcino, Pienza e Sovana avevano ottenuto l’indulto per la riduzione delle feste fin dal maggio 1746. Il governo della Reggenza si mosse però solo nei primi mesi del 1749”. Il conte Richecourt “chiese informazioni a Roma sulle modalità con cui si era svolto il negoziato con il Regno di Napoli. Il 7 aprile scrisse poi a Francesco Stefano suggerendogli di adottare nel granducato una riduzione analoga a quella dell’Italia meridionale e pregandolo, nel caso, di compiere i dovuti passi presso la Santa Sede. L’imperatore aderì alla proposta del ministro e scrisse di conseguenza al papa, il quale, dal canto suo, accolse la richiesta ma pretese, come sempre, il concorso dei vescovi”. I vescovi toscani obbedirono ai desiderata della Reggenza, e anche il prestigioso ma ostile arcivescovo di Firenze, Francesco Gaetano Incontri, finì per «abbassare la testa».
“Il 19 luglio 1749 Benedetto XIV emanò così il breve per la riduzione delle feste in tutte le diocesi della Toscana. Il dispositivo ricalcava quello stabilito otto mesi prima per le Due Sicilie ... ma più decisa fu l’applicazione del breve da parte delle autorità granducali.
Nel pubblicarlo ufficialmente con una legge del 18 settembre 1749, Francesco Stefano non si limitava, come Carlo di Borbone, a ribadire le pene contro i trasgressori del precetto festivo, ma applicava in termini estensivi la dispensa pontificia: aboliva di sua autorità “tutte le feste civili, e tutte quelle introdotte dalla pia consuetudine del popolo”, stabiliva che tutti i tribunali restassero aperti anche nelle mezze feste, ma soprattutto prevedeva le stesse pene afflittive (multe, ma anche carcere) sia per quanti lavoravano indebitamente nei giorni festivi, sia per quanti "non [aprivano] le botteghe in quelli che lo erano per l’avanti, senza una causa legittima".
Nel granducanto insomma non si andò “troppo per il sottile. I vescovi toscani si trovarono in imbarazzo di fronte a questo stravolgimento e nelle pastorali che pubblicarono sull’argomento dovettero fare buon viso a cattivo gioco”.
Grande pertanto fu la confusione sotto il cielo granducale e “nel dicembre 1749 il governo dovette ricorrere alla polizia per costringere i bottegai di Firenze ad aprire i loro esercizi dopo Natale”.
Lo scompiglio conseguente alla “riduzione” delle feste è sottolineato anche in un ricordo segnato in una cronaca manoscritta della Biblioteca Nazionale di Firenze – l“Officina delle notitie fiorentine” (1736-1765):
“Ricordo delle feste levate da Sua Santità ad istanza del nostro sovrano.
A dì 30 settembre 1749.
In questo giorno fu mandato dal illustrissimo monsignore arcivescovo Gaetano Incontri la lettera circolare delle feste levate già state bendite per sua maestà cesarea dalla Reggenza e furno queste: tutti gli Apostoli fuor che San Pietro e Paolo a’ 29 giugno, San Michele a’ 29 settembre, i due giorni di Pasqua di Resurrezione, con i due giorni delle feste dello Spirito Santo, San Lorenzo, Sant’Anna, San Giuseppe, Santo Stefano e gli Innocenti e l’ultimo dell’anno ed in queste l’obbligo di sentir messa, con rigore di tenere le botteghe apperte con pena di scudi dieci per la prima volta a chi trasgredirà; ma benché ci fusse pena e fusse stato scritto chi non voleva lavorare in detti giorni, con tutto ciò pochi o punti si vedono a bottega a lavorare, non essendo necessario tal dispensa per non ci essere da lavorare i giorni lavorativi.
Fu levato parimente le mezze feste solite guardarsi da gli ufizzi [gli uffici pubblici] e queste erano molte in fra l’anno, e furno obbligati a stare gli ufizzi tutte le feste che erano di precetto, e ne’ giorni baccanali furno dispensati, posponendo a’ giorni festivi e santi a quelli di peccato, sacrificati al demonio, e Iddio ci guardi per sua infinita misericordia.
[A lato: “Nelle feste levate si sona la campana delli ufizi e si fa magistrato e ne’ baccanali no”].
Inoltre fu levato tutti i giorni feriati per i debitori e fu messo per ferie il mercoledì, giovedì e venerdì e sabato santo, dal giorno di San Giovanni fino al dì otto luglio, dal dì primo di ottobre fino a dì 10 novembre, ed i giorni de’ santi del nome di sua maestà imperiale, sì come della imperatrice e i giorni della loro nascita.
Nota che la sera del dì 23 giugno, solito farsi i fuochi ad onor di San Giovanni Battista protettore di Firenze, questi si fanno, ma le fortezze non danno più segnio alcuno collo scarico, ma per i nomi | e la nascita de gl’augustissimi sovrani si fa sparo di cannoni con altre feste, col dare la permissione dell’ingresso delle maschere a’ teatri dal giorno di San Francesco d’Assisi fino al giorno di Santa Teresa ed anco più oltre. Sia sempre lodato Iddio ...
Item, prima di levare queste feste andava a tratta [sorteggio] i bottegai e speziali, e questi pagavano un tanto alla loro compagnia per la tratta ed era una buonissima entrata per le medesime. Queste furno levate e ordinato per bando che gli spezziali e bottegai stessero a sportello senza pena nessuna e spesa; in oltre i merciai di via de’ Servi, barbieri, parrucchieri gli fu dato la permissione, tanto a gli uni quanto gl’altri, che stessero le feste a sportello; e così per tal disordine, non si conosce più se sia festa quella, che è di astenersi dal opere servili, a quelle che sono di opere servili, mediante anche il troppo disprezzo che in esse feste fanno coloro che stanno a bottega più assidui del giorno feriale, servendogli un tal privilegio mondano, ad una offesa divina, in scapito dell’anima propria, e ciò per non santificar la festa, col udire la Santa Messa a scappa schappa”.
Paola Ircani Menichini, 24 dicembre 2024. Tutti i diritti riservati.
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